Adolescenza iperconnessa e pandemia, oltre i pregiudizi
Autore: Simone Feder
10 Ago 2021 - Interviste (adolescenza, attualità, nuove tecnologie, riflessioni)
Il progetto Selfie è un’iniziativa che coniuga l’approccio scientifico (con la somministrazione e l’elaborazione di questionari anonimi) e l’approccio pedagogico (che coinvolge il mondo della scuola e i genitori).
L’indagine riguarda specifiche macro-aree di vita: l’obiettivo è comprendere quali siano le abitudini degli adolescenti e delineare i comportamenti a rischio, per costruire e proporre percorsi di prevenzione.
Quest’anno Semi di Melo ha focalizzato l’attenzione sul confronto dei dati pre-lockdown e post-lockdown. Ha analizzato, in particolare, la presenza di eventuali cambiamenti relativi al consumo di alcolici, ma anche modalità e frequenza con cui i ragazzi trascorrono il loro tempo online.
Adolescenza iperconnessa: un’intervista a Simone Feder
Ci siamo chiesti: è giusto usare l’espressione “adolescenza iperconnessa” o rischiamo di etichettare a prescindere il rapporto che gli adolescenti hanno con le nuove tecnologie? I pregiudizi sono sempre dietro l’angolo, si sa.
Proviamo a trarre qualche considerazione insieme a Simone Feder, psicologo, coordinatore dell’Area Dipendenze della Casa del Giovane di Pavia e responsabile psico/educativo di alcune strutture di accoglienza per vittime di violenza domestica. È stato giudice del Tribunale dei minori, fondatore e attualmente membro del CD dell’Associazione Semi di Melo.
1) Analizzando i questionari, somministrati in alcuni Istituti secondari di secondo grado della Lombardia, abbiamo rilevato che i ragazzi trascorrono buona parte del loro tempo libero su Internet.
Da un confronto dei dati pre-lockdown e post-lockdown, per esempio, si evince che il 53% degli adolescenti ha utilizzato i social network almeno una volta al giorno nel 2019, contro l’85% nell’annualità 2020/2021. Ugualmente, il 68% ha ammesso di chattare almeno una volta al giorno nel 2019, a fronte di un 88% durante l’anno 2020/2021.
L’aumento dell’attività online è da collegare, soprattutto, alle restrizioni dovute alla pandemia (e, quindi, al non aver potuto interagire di persona con i propri amici), oppure l’iperconnessione è frutto di un disagio che ha ben diverse radici?
I social sono il loro linguaggio, le relazioni virtuali sono per loro relazioni ‘normali’ e questo noi adulti fatichiamo a capirlo, tendendo a demonizzare qualcosa che, molte volte per ignoranza, ci fa paura. Il social non è il male, come non lo sono le uscite serali, le compagnie, le sfide che la vita ogni giorno pone davanti… ma bisogna essere in grado di guidare e accompagnare, in questo mondo troppo spesso completamente sconosciuto agli adulti.
Il virtuale riesce a dare ai ragazzi le risposte che cercano, o che si vuole far cercare, molto più che la vita reale dove spesso un ragazzo si trova sprovvisto di stimoli e attività coinvolgenti.
Questi ultimi due anni sono stati caratterizzati per i ragazzi da lunghi tempi da soli senza nessuno in casa, in balìa di schermi su cui vivere l’intera esistenza e affidati ad una responsabilità individuale troppo spesso ancora lontana da essere completamente sviluppata. L’adolescenza è stata l’età più dimenticata in questa pandemia. Lontani dalla scuola, dallo sport, da ogni tipo di socialità tipica della loro età, i nostri ragazzi hanno dovuto crearsi strategie di sopravvivenza efficaci, spesso senza una reale comprensione da parte del mondo adulto.
In ultimo non dimentichiamo anche la forza dell’esempio… Quali dati avrebbe un adulto sugli stessi item?
2) Parliamo di bullismo: il 50% degli adolescenti intervistati in Lombardia nel 2019, a fronte di un 54% durante l’anno 2020/2021, ha dichiarato di essersi sentito “fortemente offeso, isolato, minacciato, preso in giro a causa dei comportamenti ripetuti di qualcuno”. Riferendoci, invece, al cyberbullismo: il 20% degli studenti nel 2019, ha dichiarato di essersi sentito “fortemente offeso, isolato, minacciato, preso in giro a causa dei comportamenti ripetuti di qualcuno sul web (social network, WhatsApp e simili)”, contro un 28% nell’annualità 2020/2021.
Quanto l’aumento dell’uso della tecnologia sta incidendo su queste dinamiche?
E quanto queste informazioni possono essere correlate con l’aumento di atti autolesionistici? (nel 2019, il 26% dei ragazzi ha ammesso di essersi procurato dolore fisico volontariamente, a fronte di un 35% nell’annualità 2020/2021).
La sofferenza giovanile è un abisso che spacca, allontana e spesso fa paura. Quando si chiede ad un giovane ‘come stai?’ ci sono due possibili strade, che lui risponda ‘normale’ (chiudendo di fatto il discorso) o che scelga di aprirsi, lasciando un piccolo spiraglio da cui provare ad infilarsi per entrare nel suo mondo.
Spesso sono loro i primi a non avere chiari i colori e i confini della proprie emozioni. Il virtuale, ma anche la frenesia che contraddistingue il nostro tempo, lascia poco spazio all’ascolto vero degli altri e specialmente di sé.
Questo periodo di lockdown ha rallentato i ritmi, ha messo tutti a confronto con un’esistenza spesso ovattata e confusa dai mille impegni e scadenze. Basti pensare anche nel mondo adulto: quante famiglie distrutte, quante relazioni in equilibrio precario scoppiate, quante personalità fragili portate all’esasperazione.
Come hanno vissuto i nostri adolescenti il confronto con uno ‘specchio’ quotidiano che rifletteva loro le proprie paure esacerbate da una indeterminatezza che ha messo a dura prova anche le personalità adulte più mature?
La loro è una sensibilità in continua evoluzione, tante campagne mediatiche stanno aiutando anche a far alzare l’asticella in merito a cosa sia o non sia normale subire, sviluppando nei giovani anche un maggior livello di attenzione verso forme di violenza un tempo normalizzate o di cui era necessario vergognarsi.
È però fondamentale fornire loro il giusto vocabolario per poter andare dentro il loro sentire, per poterlo leggere e così trovare delle risposte difficili da raggiungere senza una formulazione corretta della domanda.
3) In merito all’efficacia degli interventi di prevenzione, nell’annualità 2020/2021, alla domanda “Da chi e in che misura ti senti influenzato/a nella prevenzione di comportamenti dannosi?”, gli adolescenti hanno confermato preferenze già espresse nelle annualità precedenti: i ragazzi si fidano maggiormente degli amici (65.1%) e dei genitori (51.1%).
Curiosa è l’attenzione prestata anche ai programmi televisivi (36.8%), che potrebbe giustificare un altro dato rilevante: oggi gli adolescenti si sentono particolarmente condizionati dai propri amici nel modificare l’aspetto esteriore (26.5%).
I media, i social network, la dittatura dell’immagine, hanno preso il sopravvento nella vita dei ragazzi?
I territori, le iniziative locali di informazione, prevenzione e protezione, dove sono? Quale posto occupano?
Come coinvolgere e catturare l’attenzione dei nostri giovani è da sempre una grande sfida educativa, specialmente nella difficile età dell’adolescenza dove si smette di fare le cose ‘perché vanno fatte’ e si cerca una propria identità.
Per questo è importante costruire fin dall’infanzia riferimenti importanti e di valore che possano poi crescendo diventare punti di riferimento validi e costanti. Far sorgere fin da piccoli l’esigenza di cercare una guida, coltivare una passione, sviluppare il senso di industriosità in vista del raggiungimento di obiettivi soddisfacenti non sono elementi che possono essere inseriti nella ‘dieta educativa’ da un giorno all’altro. Necessitano pazienza, semina precoce e lunghi tempi di crescita e maturazione perché possano essere sentiti come propri dal giovane.
L’appartenenza ad un gruppo resta la necessità primaria nello sviluppo della personalità adolescente e come tale va incentivata e stimolata, offrendo alternative accattivanti ma contemporaneamente di crescita.
Il rischio è che questa necessità occupi sempre gli ultimi posti nell’agenda politica dei nostri territori, delegando a famiglia, scuola e terzo settore la costruzione di una rete di protezione valida ed efficace, senza però il necessario sostegno economico e amministrativo. I giovani spesso diventano solo un problema di ordine pubblico e sicurezza, oggetto di proclami e di piccoli traguardi temporanei che diano lustro alle amministrazioni territoriali: è necessario cambiare le domande iniziali per trovare soluzioni efficaci e vincenti a lungo termine.