Progetto Selfie, così a San Donato Milanese hanno chiesto agli adolescenti: «Ma tu, come stai?»

Autore: Redazione

19 Feb 2024 - Articoli, Interviste, News (, , )

Progetto Selfie, così a San Donato Milanese hanno chiesto agli adolescenti: «Ma tu, come stai?»

Siamo a San Donato Milanese. L’assessora ai Servizi di Welfare, Francesca Micheli, il suo comune lo descrive così: «è una città particolare», dice. «Una città che è fortemente caratterizzata da disuguaglianze. C’è un ceto medio, ma è sottile. E poi una parte di famiglie che stanno bene e un’altra parte, invece, che stanno male. Nel senso che con quello che guadagnano non arrivano alla terza settimana del mese». In mezzo alle disuguaglianze e le contraddizioni ci sono i ragazzi e le ragazze che a San Donato Milanese vivono. Ma come si fa a scoprire chi sono? «Noi ci abbiamo provato con il progetto selfie», racconta l’assessora. «È stato un modo molto concreto per far parlare i nostri adolescenti, per far sentire la loro voce in un mondo di adulti. Ma soprattutto è stato il nostro modo per chiedere loro “Come stai?”». 

Come stai è una domanda difficile, spesso gli adulti non sono pronti a sentire la risposta. «Prima di partire con Selfie nelle scuole del comune», spiega l’assessora, «abbiamo fatto incontri con gli insegnanti. Abbiamo scelto Selfie per avere uno sguardo verticale proprio perché ha coinvolto oltre 4mila studenti del comune. Quindi è stato anche un modo per uscire dalle singole classi e confrontarsi con le generazioni giovani che vivono qui». A San Donato Milanese sono state coinvolte tre scuole medie e quattro istituti superiori. «La cosa che mi ha stupito di più», continua l’assessora, «è stata la richiesta degli adolescenti di essere visti dagli adulti. Ma come facciamo a vederli? Alcuni dati emersi dalla ricerca sono emblematici: il 40% dei ragazzi coinvolti usa il cellulare durante i pasti. Il 60% lo usa anche di notte. Lo trovo un dato incredibile, e mi domando: ma dove sono i genitori? E ancora gli adulti sanno ancora cogliere i segnali di vulnerabilità dei figli? Ecco i dati ci dicono di no».

Secondo l’assessora Micheli il progetto Selfie dovrebbe «essere obbligatorio nelle scuole di tutti i comuni. Si continua a puntare il dito sugli adolescenti, ma il problema non sono loro». Cosa ha capito dopo Selfie? Che i ragazzi e le ragazze ci hanno chiesto di esserci per loro, di dare regole, di dire più spesso dei “no” capaci di orientarli, di trovare il modo per ascoltarli ed aiutarli a muoversi in un mondo, quello di oggi, molto complesso ed insidioso. “Mio papà lavora fuori tutta la settimana. Mia mamma lavora tutto il giorno e quando torna a casa la sera prepara la cena, è stanca, riassetta la casa. Mi chiede com’è andata a scuola. Parliamo di cose pratiche. Si vede che è stanca. Io vado in camera mia. L’occasione per parlare è difficile da trovare”, così ha raccontato un giovane ragazzo, durante un momento di condivisione pubblica del progetto».

E ancora: «Una ragazzina due file dietro di me, sempre in quell’incontro pubblico, commentava con una sua amica: “a volte mi sembra di essere un appuntamento tra i tanti che ha mia madre”. L’incontro si è chiuso con una giovane ragazza del quarto anno che ha detto: “però dobbiamo aiutarli anche noi gli adulti a venirci incontro. È anche compito nostro parlare con loro”. Di nuovo la “costruzione del ponte verso il mondo adulto”. Ce lo hanno chiesto in tutti i modi di esserci nella loro vita tanto difficile, e di farlo come adulti capaci di ascoltare, di guidare, di educarli alla libertà attraverso anche regole che li aiutino ad orientarsi e a diventare grandi. Come adulta, come persona della politica, come mamma sono uscita dall’incontro con la loro mano tesa verso di me. Ad ognuno di noi adulti spetta costruire l’altra parte del ponte»