Franco Taverna: «Per uscire dalla droga serve una vita all’avventura»

29 Mag 2024 - Articoli, News (, , , , )

Franco Taverna: «Per uscire dalla droga serve una vita all’avventura»

Sul numero di VITA magazine di aprile, che si chiama “Droga, apriamo gli occhi“, c’è un’intervista a Franco Taverna, presidente responsabile dell’associazione Semi di Melo. Il numero parte da alcune domande: Come si spiega l’impennata dei consumi di sostanze, in particolare da parte dei giovani (+10% solo nell’ultimo anno)? Come intervenire a livello sociale e familiare? 

Per Taverna l’avventura rimane il primo strumento da utilizzare, soprattutto con i più giovani. Riportiamo qui una parte dell’articolo con la sua intervista.

Nove mesi per rinascere. Era il marzo 1985 e da Milano 13 ragazzi tossicodipendenti e sei educatori partirono in carovana per un lungo viaggio nella penisola italiana. Ogni città, una tappa di un cammino dentro se stessi. Un movimento di “liberazione possibile” dalla droga, che non è mai solo una sostanza. C’era bisogno di liberarsi dal dolore, dai vuoti che non si riuscivano a riempire, dalle risposte che i ragazzi non si sapevano dare, più che altro perché erano le domande che facevano fatica ad essere dette. A guidare quel primo gruppo di giovani c’era Franco Taverna, oggi responsabile dell’area adolescenza della Fondazione Exodus di don Mazzi. «Avevo 24 anni e lavoravo già come educatore con don Mazzi al centro di formazione professionale Opera Don Calabria, mi occupavo di persone con disabilità», ricorda. Il centro si trovava nei pressi del Parco Lambro di Milano, che agli inizi degli anni Ottanta, poco alla volta, si stava trasformando in un cimitero di giovani morti per overdose. «C’era un via vai continuo di ragazzi», racconta Taverna. «Passavano tutti da una fontanella del parco per recuperare l’acqua che serviva per iniettarsi l’eroina. Come potevamo non vederli? O fare finta di niente? Voltarci dall’altra parte non era possibile. Io ero giovane, avevo già tante cose da fare, sogni, speranze, un matrimonio con Bruna — che oggi è mia moglie  da organizzare. Ma don Antonio mi disse “occupati tu di questa cosa”. Era il Natale del 1984: pochi mesi dopo partimmo con la nostra prima Carovana, che rimane ancora oggi lo strumento educativo più importante per la fondazione». Negli anni successivi sarebbe arrivata anche l’apertura di una comunità. Anzi, per essere precisi, l’apertura di più “case” su tutto il territorio nazionale. «Eravamo nomadi», continua Taverna nel suo racconto, «perché non volevamo chiudere in un luogo quei giovani: erano già chiusi e schiavi di se stessi. La metafora dell’esodo, dell’andare, per noi era incredibilmente più potente di qualsiasi altro approccio: ci presero per pazzi. Ma noi recuperammo i camper, tra cui uno attrezzato con una cucina industriale, tende per dormire e partimmo. Avevo passato il mio viaggio di nozze con Bruna a cercare luoghi “dove piazzare i camper”: il lago di Garda, l’Appennino, poi giù fino in Calabria. Tutti ci dicevano “Vedrete, scapperanno tutti. Già scappano dalle comunità e voi non avete neanche le porte”. Nessuno invece è scappato e quella prima Carovana è stata epica». Taverna di quei mesi ricorda tutto e tutti: «Sono indimenticabili», dice. «Fedele, Pericle, Gianluca, Adele, Mauro, erano tutti dipendenti dall’eroina. Il più piccolo aveva 17 anni e il più grande 24, la mia stessa età al momento della partenza. Sono passati tanti anni, ancora ci scriviamo, quando è possibile ci incontriamo». Quella prima carovana “tornò a casa” il Natale dello stesso anno e segnò tutte le carovane successive. «Nove mesi», sottolinea Franco: «Non l’avevamo previsto e l’abbiamo notato solo dopo, ma nove mesi sono il tempo della gestazione». Nei suoi primi dieci anni di vita il movimento di Exodus attraversa le più drammatiche questioni sociali dell’Italia: le dipendenze, il terrorismo, l’Aids, la grave emarginazione sociale. Le carovane incontrano territori e testimoni privilegiati, con grande semplicità i ragazzi e le ragazze ricompongono il senso della loro vita non solo praticando una disciplina sana ma toccando con mano e portando il loro aiuto alle sofferenze degli altri, disabili, anziani, infanzia abbandonata. Negli anni la fondazione ha promosso centinaia di carovane e ha riproposto questo strumento anche agli adolescenti…

Si può leggere l’intervista completa di Feder a questo link